Intervista al vincitore-Fortunato Calvino

Il vincitore in lingua italiana ex aequo della terza edizione del Premio Carlo Annoni, nel 2020, è stato Fortunato Calvino, con il suo testo La resistenza negata. Esso verrà rappresentato nel Festival Lecite/Visioni di quest’anno, il 22 maggio 2021, presso il Teatro Filodrammatici di Milano e a cura del Premio Carlo Annoni: un segnale di ripartenza per il teatro, che sta attraversando un periodo sofferente.

Fortunato Calvino è filmmaker, regista, autore drammatico pluripremiato: ha vinto, tra gli altri, il Premio Giuseppe Fava nel 1995, il Premio Enrico Maria Salerno e il Premio Girulà nel 1996, il Premio Speciale Giancarlo Siani nel 1997, il Premio Teatri della Diversità nel 2001, il Premio Calcante nel 2002 e nel 2009, con i suoi testi Cravattari, Maddalena, Malacarne, Adelaide, Cuore Nero.

Le sue opere sono state rappresentate con successo in molti teatri nazionali e internazionali.

Secondo te che cosa non comprende ancora oggi il pubblico riguardo alla diversità e quindi perché è così importante dedicare un premio drammaturgico a questo tema? 

Il Premio Carlo Annoni colma un vuoto “drammaturgico” in un paese come il nostro pieno di contraddizioni e dove da alcuni anni si è tornato fortemente ad odiare il “diverso”. A tentare di metterlo ai margini della società.  Il tentativo credo sia fallito grazie alle Associazioni che lottano contro l’omofobia, grazie anche alla cultura, al cinema e al teatro, dove finalmente il cliché degli anni ’70 sparisce dando un’immagine più reale del mondo LGBTQI. E’ lunga la via, e crescente l’intolleranza che avvelena  ora il nostro paese (e non solo il nostro). Questo tema dipende soprattutto dalla politica (soprattutto quella di destra), che istiga ad odiare il diverso, facendo così aumentare l’intolleranza, e la violenza. In questo contesto un premio drammaturgico come  l’Annoni dà la possibilità a tanti autori di poter scrivere su un tema fino a qualche anno solo di nicchia. Oggi più di ieri esiste un pubblico trasversale che s’interessa  molto a queste tematica, un pubblico che fino a quando la pandemia non è scoppiata riempiva le sale dei teatri. Ora purtroppo vuote.

Ci puoi raccontare un piccolo aneddoto riguardo alla tua vittoria?

Arrivato a Milano ho trovato una città affollata, vivace. Ma quando sono tornato in albergo, che era nei pressi della Stazione Centrale, ho scoperto di essere l’unico ospite in quella struttura creandomi un certo disagio. E confesso che quella notte non sono riuscito per niente a dormire.   

Che cosa ha significato per te la vittoria del premio Carlo Annoni?

Un riconoscimento a una lunga militanza su questi temi dove ho scritto altri testi come: La Camera dei ricordi portato in scena proprio a Milano nel 1995. Un Premio teatrale come l’Annoni in un contesto come il Piccolo Teatro è una bella gratificazione per chi scrive e che si dedica da tempo a queste tematiche e non solo a queste. E anche un aiuto a trovare una produzione e probabilmente La Resistenza Negata in estate andrà in scena.    

Quali consigli potresti dare ai drammaturghi rispetto alla creazione di un testo?

Mi sono sempre posto un obiettivo, quello di toccare tematiche intoccabili, scomode, oppure temi che sono nella attuale società ancora un tabù: e questo mi ha portato a essere un autore che si è conquistato un suo personale spazio nel mondo della drammaturgia. Questo è il mio consiglio, quello di tenersi lontano dalle solite dinamiche, ma cercare di essere unici nelle tematiche che affronti.   

Cosa ti aspetti dal futuro, dopo la situazione mondiale che stiamo vivendo?

Mi aspetto che tutto questo termini e si torni a teatro… e questo accadrà, non subito certo. Questa Pandemia ci ha fatto capire come siamo fragili. Che dovremmo amare di più questa nostra terra; io in questo tempo non ho smesso di scrivere e credo che per i prossimi anni saranno tanti i testi teatrali che parleranno di questo terribile momento che tutto il mondo sta vivendo.

Intervista al vincitore-Joseph Aldous

Joseph Aldous ha vinto con il suo testo Get Happy come miglior autore in lingua inglese per il Premio Carlo Annoni nel 2020.

Joseph Aldous è uno scrittore e attore. Ha completato il Soho Writers’ Lab nel 2018-19, durante il quale ha scritto la sua prima drammaturgia, Get Happy. Ha anche fatto parte del Soho Writers’ Alumni Group nel 2019-20 e recentemente ha sviluppato una seconda drammaturgia commissionata dalla Oxford School of Drama.

Secondo te che cosa non comprende ancora oggi il pubblico riguardo alla diversità, e quindi perché è così importante dedicare un premio drammaturgico a questo tema?

Credo sia importante ribadire che la diversità non è qualcosa di “usa e getta”- una delle ragioni per cui la diversità e la sua continuativa rappresentanza sono così importanti è perché tante voci sono state e continuano a essere tagliate fuori dal dialogo, che stiamo toccando solo la superficie; ma penso che la gente si senta così a volte poiché in teatro e tv c’è stato un certo tipo di racconto e quindi ecco fatto, lavoro finito. Noi abbiamo bisogno di più storie, più protagonisti, più parole. È necessario che essa continui a crescere.

Ci puoi raccontare un piccolo aneddoto riguardo alla tua vittoria?

Quando l’ho scoperto ero nel ristorante dove lavoro. Ho visto un’email in cui mi rifiutavano per un’altra cosa e ho pensato “Perfetto, un’altra volta, avanti così”- e poi quindici minuti dopo ho ricevuto una mail dove mi si diceva che avevo vinto. Che capovolgimento! Poi il mio amorevole principale ha versato per noi del vino alla fine del turno e mi sono sbronzato il giusto.

Che cosa ha significato per te la vittoria del Premio Carlo Annoni?

È stata una cosa davvero meravigliosa. Più di tutto, mi ha dato confidenza e speranza che il mio lavoro può piacere alle persone e può dire loro qualcosa. È la prima drammaturgia che avevo scritto e tutti quelli del Premio Carlo Annoni mi hanno supportato moltissimo riguardo a esso, quindi è stato davvero speciale per uno scrittore come me, in erba.

Quali consigli potresti dare ai drammaturghi rispetto alla creazione di un testo?

Penso di non essere assolutamente la persona giusta nel dare consigli, a questo punto! Ma il consiglio che do a me stesso (a quasi tutte le ore) è di seguire il mio istinto e scrivere cosa sai di voler vedere. Gli altri aspetti si aggiusteranno da sé- ma lì è dove c’è la tua essenza.

(Penso.)

(Spero.)

Cosa ti aspetti dal futuro, dopo la situazione mondiale che stiamo vivendo?

Penso che non sarà facile per un po’ di tempo- mi sto preparando a questo. Ma spero che questo calderone porterà a qualche cambiamento necessario. Questa situazione ha reso chiara così tanta bruttezza radicata nella nostra società, che spero che quando andremo oltre il momento presente, lo ricorderemo e lavoreremo per un futuro più gentile e pieno d’amore. E che nessuno voterà mai più per il partito conservatore. Grazie!

Intervista alla vincitrice-Laura Fossa

La seconda edizione del Premio Carlo Annoni, nel 2019, ha visto come vincitrice in lingua italiana Laura Fossa, con il suo testo Shalom, il quale, come ci ha raccontato l’autrice stessa nell’intervista, tratta di Amore Universale.

Durante la sua carriera Laura Fossa ha seguito il corso di teatro condotto dall’attrice e regista Franca Fioravanti, dal 2014 al 2018 i corsi di teatro delle “Officine Teatrali Bianchini” e, dall’ottobre 2013 a oggi, le lezioni di scrittura drammaturgica “In aria sottile” tenuti dal drammaturgo Marco Romei.

Inoltre è stata tre volte vincitrice del Concorso Nazionale di Poesia “Luigi Cardiano” con la poesia La Maschera nel 2014, la poesia Psichedelia nel 2015, e il soggetto teatrale intitolato Il Giardino nel 2016.

Tra i suoi testi messi in scena, Il Giardino nel 2017 dalla Compagnia Teatrale “Officine Teatrali Bianchini” e diretto da Alberto Bergamini, e nel 2019 Shalom al Teatro dei Filodrammatici nel contesto del Festival “Lecite/Visioni”, promosso dallo stesso Premio Carlo Annoni.

Secondo te che cosa non comprende ancora oggi il pubblico riguardo alla diversità e quindi perché è così importante dedicare un premio drammaturgico a questo tema?

La diversità, in ogni sua forma e in ogni campo dell’esistenza, di primo impatto spaventa. Sempre. E la ragione è perché non si conosce. Poi quando ci si avvicina, si analizza e si vede che non c’è nessun pericolo si trasforma in quotidianità. È quindi importante dedicare un premio a questo tema proprio per farlo conoscere, per diffonderlo, per fare capire che la diversità, come è naturale che sia, esiste, ma che tutti siamo uguali di fronte all’Amore e che tutti abbiamo il diritto di viverlo in totale libertà senza nasconderci, senza rinunciare, senza negarlo, senza uccidere noi stessi.

Ci puoi raccontare un piccolo aneddoto riguardo alla tua vittoria?

Ho ricevuto la mail di Corrado che mi annunciava la vittoria quando mi trovavo ancora in ufficio. Sono corsa in sala riunioni dove sapevo che non avrei trovato nessuno, ho aperto la finestra e ho urlato di gioia. La gente che passava in strada ha tirato su la testa e i miei colleghi sono corsi a vedere se stavo bene. Avevo vinto il primo premio. Per me è stato come vincere un Oscar!

Che cosa ha significato per te la vittoria del Premio Carlo Annoni?

Per me vincere il Premio Carlo Annoni ha significato davvero tanto. Sono fiera di questa vittoria. La giuria era formata da nomi illustri della scena drammaturgica e letteraria, nazionale e internazionale, ed essere stata giudicata dagli esperti di settore la migliore tra tanti altri autori e testi di grande valore non poteva e non può che rendermi orgogliosa di aver vinto. Mi ha dato l’opportunità di poter far conoscere a più persone la storia di Shalom, una storia a cui tengo molto e che parla d’amore. Di Amore Universale.

Quali consigli potresti dare ai drammaturghi rispetto alla creazione di un testo?

Il primo consiglio che posso dare è che non serve solo sapere scrivere bene e voler raccontare storie ma bisogna apprendere la tecnica della scrittura drammaturgica attraverso tanti esercizi, leggendo testi teatrali di tutte le epoche, mettendoli a confronto e  analizzandoli a fondo. Conoscere i drammaturghi e sapere captare i loro segreti; come per esempio la teoria di Mamet, che attraverso tre leggi fa si che la storia si racconti da sola. Per quanto riguarda la parte creativa, che è quella che più mi piace, non ci sono regole fisse ma seguo quello che sento dentro: vedo i personaggi, l’ambiente in cui si muovono e le musiche che fanno da sfondo, e le dita scorrono sulla tastiera  descrivendo quella scena che io in quel preciso momento sto vivendo. Io sono sul palco e sono ognuno di loro. Posso sentire il loro cuore agitarsi, correre veloce, calmarsi, spegnersi anche. Percepisco i loro gesti ancora prima che li compiano. Sono loro che mi dettano la storia e io la seguo, semplicemente. Ho scritto di tanti personaggi e tutti diversi, con problemi e situazioni lontane da me anni luce e le ho vissute tutte senza perdermene neanche una. Shalom è nato in maniera naturale, fluida. Mentre lo componevo vedevo Shalom muoversi sul palco, agitarsi, gioire, ridere e soffrire, e tutto questo lo facevo insieme a lui. Non importa che la storia sia vera o inventata, per me Shalom, Jack e Jenny esisteranno sempre.

Che cosa ti aspetti dal futuro, dopo la situazione mondiale che stiamo vivendo?

Ho imparato a guardare non troppo in là nel futuro perché altrimenti si perde di vista il presente. Mi auguro che l’umanità abbia capito che noi uomini non siamo invincibili e che solo andando tutti nella stessa direzione si possono cambiare davvero le cose. Nello specifico per quanto riguarda il teatro mi auguro che presto si possa ritornare a raccontare storie e ad ascoltarle. Perché è anche di questo che l’anima si nutre.