LGBTheater – Storie dal sipario arcobaleno #5: Il presepe sotto la pioggia

Feste, ma con sobrietà. Dopo una fortunata sequenza di vittorie del capitalismo nell’appalto per il Natale, al sapore di pandori artificiali, spot della Coca-Cola, Mariah Carey a palla e l’immancabile maratona di Una poltrona per due, dalle antenne del Grande Imprenditore del Nord, lo spettro dickensiano del venticinque dicembre all’insegna della tradizione torna a dettare legge. Tortellini contro M&Ms, Tu scendi dalle stelle contro Jingle Bells Rock e, soprattutto, la saga di Gesù contro quella di Eddie Murphy.

Ogni devoto lo sa: la storia narrata dalla Bibbia è un piccolo capolavoro, antesignano del viaggio dell’eroe di Hollywood. Il prescelto di Nazareth nato nella miseria diventa infatti un topos che si ritrova ovunque, da Oliver Twist a Star Wars. Ogni persona che subisce discriminazioni di qualsiasi tipo può identificarsi con il Messia, indipendentemente dalla fede.

Bernard-Marie Koltès

Bernard-Marie Koltès, drammaturgo omosessuale della stessa Francia di Copi e Lagarce, sa cosa significhi essere emarginati dalla società. Anche lui vittima dell’Aids nel 1989, a soli 41 anni, è ricordato per uno stile assolutamente innovativo, che fa della sospensione il suo cardine. Lunghi monologhi sostituiscono gli scambi veloci di battute, canone dominante tra i suoi contemporanei britannici.

I personaggi, in queste partiture verbali, sono spesso immigrati: uno fra tutti, il protagonista de La notte poco prima della foresta, a cui viene negata una stanza in cui dormire in una notte di pioggia. Ma anche il cosmo di etnie di Quai Ouest, fatto di gente disperata che si arma di opportunismo per cavare fuori un guadagno dalle tragedie altrui, o l’Antigone africana Lotta di negro e cani. Koltès mantiene il dolore della sua condizione e ne sposta il soggetto su chi è persino meno fortunato di lui: l’emarginato si prende cura dell’altro emarginato dando valore alla sua vita (c’è atto più umano di questo?), e così facendo dipinge un affresco anche della propria condizione.

Nell’augurarvi buone feste vi suggeriamo, qualora non l’aveste già fatto, di esplorare fino in fondo questo immenso e mai retorico autore. Quando avrete finito, sarete pronte/i per la sfida di questa settimana: con quali altri temi sociali e politici può intrecciarsi un testo sulla sfera LGBT+?

LGBTheater – Storie dal sipario arcobaleno #4: Allons, playwrights de la patrie!

1993. Parigi si svegliò in una rigida mattina d’inverno e vide l’obelisco di Luxor coperto da un enorme preservativo rosa. L’opera di Oliviero Toscani e varie associazioni impegnate nella lotta all’AIDS arrivò poco dopo la prima, parziale cura della pandemia che ha fatto tremare tutto il mondo, a scapito della credenza che il morbo colpisse solo la comunità gay.

Rivelare di aver contratto l’AIDS significava implicitamente fare coming out. Questo nonostante la malattia, a differenza dell’essere umano, non facesse differenza tra etero e non. Molti positivi decidono di tacere: un paradosso doverlo fare, in un’epoca in cui morire per le droghe è sdoganato, ma per l’amore e il sesso no.

Silenzio e paradosso: bastano due parole per raccontare la cavalcata di morte dell’AIDS. Il verbo presto si fa carne. La Francia, patria dell’illuminismo nata dalle braci della più grande rivoluzione che l’Europa ricordi, infonde il suo spirito ribelle e la dolcezza della sua lingua in due menti fuori dal comune: Jean-Luc Lagarce e Copi. Entrambi saranno vittime dell’AIDS, ma non prima di aver raccontato quegli anni assurdi nel loro teatro.

Jean-Luc Lagarce.

Lagarce, poco prima di scoprire di essere sieropositivo, anticipa la sua sorte nella sua più grande opera: Juste la fin du monde, che diventa Giusto la fine del mondo nell’edizione italiana e È solo la fine del mondo nell’opera cinematografica di Xavier Dolan. Un ragazzo affetto dall’AIDS torna dopo anni dalla sua famiglia per annunciare di stare per morire. L’atmosfera è intrisa di rapporti tesissimi o ormai consunti, espressi in sfumature che ondeggiano tra un obbligato senso di parentela e l’aggressività più sconsiderata. In tutto questo il protagonista tace, alla perenne ricerca del momento adatto in cui portare a galla l’inconfessabile.

Copi.

Copi al silenzio preferisce raccontare il rumore, il caos di quegli anni, attraverso trip lisergici in cui i topi hanno rapporti sessuali con gli umani. Gli echi inquietanti di Beckett e Pinter arrivano distintamente: in L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi, personaggi dal sesso indefinito vivono in una casetta in Siberia circondata da lupi famelici, con la fallace speranza di fuggire in località inesistenti. 

Due autori che, tanto con il naturalismo quanto con la surrealtà, hanno saputo raccontare la propria condizione e la propria epoca. Ed eccoci allora alla quarta sfida settimanale per i partecipanti del Premio Carlo Annoni: la drammaturgia può farsi carico di raccontare l’attualità in maniera inedita e creativa?