LGBTheater – Storie dal sipario arcobaleno #7: Ulisse in Italia

Come a Ulisse ci sono voluti vent’anni per tornare a Itaca, a noi sono serviti sette episodi per tornare in Italia. Non perché sia passato più tempo che altrove per veder svettare il tricolore accanto alla bandiera arcobaleno, ma perché eravamo indecisi su chi fosse stato il primo a issarlo in maniera convincente.

Con un’indispensabile menzione a Pier Paolo Pasolini e Mario Mieli, abbiamo deciso di parlare di uno degli autori italiani più controversi dello scorso secolo: Giovanni Testori.

Giovanni Testori (foto di Valerio Soffientini)

Testori nasce, come Sarah Kane, in una famiglia profondamente religiosa, che lo instrada verso il fascismo. Negli anni della guerra collabora con i Gruppi Universitari Fascisti e si appassiona di storia dell’arte, iniziando a dipingere. La sua vera identità di omosessuale incastrato in un mondo repressivo viene fuori dall’amicizia col regista Luchino Visconti, gay anche lui.

Sono gli anni in cui Testori narra i sobborghi di Milano, scrivendo i racconti che poi entreranno nella raccolta Il ponte della Ghisolfa. L’Arialda, ambientato nella periferia meneghina, è il primo caso in Italia di un’opera con una relazione omosessuale frutto dell’amore e non della perversione, associata alla comunità LGBT+ dalla mentalità (demo)cristiana dominante. Tanto bastò per portare in tribunale lui e il regista milanese, che ne aveva curato la versione cinematografica.

Il genio è come una pompa da giardino: più si prova a otturare il flusso, più forte spingerà l’acqua per uscire, trovando sempre uno spiraglio. È il caso di un secondo sodalizio, quello con Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah: la seconda è direttrice artistica del teatro oggi intitolato al primo. Lì Testori portò in scena la Trilogia degli Scarrozzanti, a cominciare dalla riscrittura Ambleto. In un finto creolo franco-lombardo seicentesco, l’autore stravolge la trama del bardo, inserendo anche qui relazioni omosessuali, ma stavolta in chiave surreale e tragicomica à la Copi.

Dopo il fascismo, la malavita milanese e l’omosessualità, Testori ritorna infine alle origini: la Chiesa cattolica, alla quale viene avvicinato da Comunione e Liberazione. Sono gli anni della depressione dopo la morte della madre, in cui il drammaturgo narra il bisogno di conforto, che ora sente universale. nelle sue ultime opere: drammi religiosi, non diversi da quelli di Jacopone da Todi, ma permeati del suo gioco in cui il confine tra teatro e realtà sfuma progressivamente.

Testori muore nel 1993. Come Ulisse, che prima di rivedere Itaca passò per maghe e sirene, l’aedo del ‘900 circumnavigò ogni ambito del pensiero e dell’espressione umana, sospeso tra le due forze opposte della libertà sessuale e individuale e del senso di colpa cattolico. Giungiamo così alla settima sfida per i partecipanti del Premio Carlo Annoni: quand’è che, per un autore, è tempo di sperimentare nel suo teatro?