1993. Parigi si svegliò in una rigida mattina d’inverno e vide l’obelisco di Luxor coperto da un enorme preservativo rosa. L’opera di Oliviero Toscani e varie associazioni impegnate nella lotta all’AIDS arrivò poco dopo la prima, parziale cura della pandemia che ha fatto tremare tutto il mondo, a scapito della credenza che il morbo colpisse solo la comunità gay.
Rivelare di aver contratto l’AIDS significava implicitamente fare coming out. Questo nonostante la malattia, a differenza dell’essere umano, non facesse differenza tra etero e non. Molti positivi decidono di tacere: un paradosso doverlo fare, in un’epoca in cui morire per le droghe è sdoganato, ma per l’amore e il sesso no.
Silenzio e paradosso: bastano due parole per raccontare la cavalcata di morte dell’AIDS. Il verbo presto si fa carne. La Francia, patria dell’illuminismo nata dalle braci della più grande rivoluzione che l’Europa ricordi, infonde il suo spirito ribelle e la dolcezza della sua lingua in due menti fuori dal comune: Jean-Luc Lagarce e Copi. Entrambi saranno vittime dell’AIDS, ma non prima di aver raccontato quegli anni assurdi nel loro teatro.

Lagarce, poco prima di scoprire di essere sieropositivo, anticipa la sua sorte nella sua più grande opera: Juste la fin du monde, che diventa Giusto la fine del mondo nell’edizione italiana e È solo la fine del mondo nell’opera cinematografica di Xavier Dolan. Un ragazzo affetto dall’AIDS torna dopo anni dalla sua famiglia per annunciare di stare per morire. L’atmosfera è intrisa di rapporti tesissimi o ormai consunti, espressi in sfumature che ondeggiano tra un obbligato senso di parentela e l’aggressività più sconsiderata. In tutto questo il protagonista tace, alla perenne ricerca del momento adatto in cui portare a galla l’inconfessabile.

Copi al silenzio preferisce raccontare il rumore, il caos di quegli anni, attraverso trip lisergici in cui i topi hanno rapporti sessuali con gli umani. Gli echi inquietanti di Beckett e Pinter arrivano distintamente: in L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi, personaggi dal sesso indefinito vivono in una casetta in Siberia circondata da lupi famelici, con la fallace speranza di fuggire in località inesistenti.
Due autori che, tanto con il naturalismo quanto con la surrealtà, hanno saputo raccontare la propria condizione e la propria epoca. Ed eccoci allora alla quarta sfida settimanale per i partecipanti del Premio Carlo Annoni: la drammaturgia può farsi carico di raccontare l’attualità in maniera inedita e creativa?