LGBTheater – Storie dal sipario arcobaleno #3: Qualcosa si muove

Fine ottocento. L’Inghilterra ripone per la prima volta penna e calamaio in mani femminili: i nomi Woolf, Austen e Shelley si fanno strada nella letteratura, mentre negli Stati Uniti è per la prima volta un nero, Ira Aldridge, a interpretare Otello. Sono le prime variazioni sul tema dell’artista maschio bianco, che però vengono suonate per un pubblico sordo, spesso non ancora pronto al cambiamento sociale.

Quella che gli artisti del novecento si trovano in eredità è un’epoca in cui rimangono lunghi strascichi di pregiudizio a guardia dello status quo. William Inge, premio Pulitzer per il teatro, è tra i precursori della drammaturgia LGBT, ma non rivelerà mai la sua omosessualità. Comincia a scrivere incoraggiato da Tennessee Williams, con il quale ha in comune un’educazione fortemente religiosa, un rapporto difficile con l’alcol e con la vita, terminata in entrambi i casi per mano propria. Inge dà voce agli omosessuali nel suo teatro a cominciare dall’opera The boy in the Basement (Il ragazzo nel seminterrato). Il titolo non è casuale: come lui è stato imprigionato nel suo “seminterrato” a vita, la stessa sorte è toccata all’opera, rimasta nel cassetto per quasi dodici anni prima della pubblicazione nel 1962.

William Inge

Nella drammaturgia di Tennessee Williams, invece, i riferimenti all’omosessualità sono più evanescenti. I personaggi gay spariscono per apparire: il sottrarsi alle loro famiglie evidenzia ancor di più quanto marci siano i legami che le tengono insieme. In Un tram chiamato desiderio, il ricordo dell’ex marito di Blanche domina la scena come uno spettro ibseniano: si è ucciso, scoperto dalla moglie assieme a un altro uomo e da lei umiliato, prima vittima della crudeltà che ora leva il fiato ai personaggi della vicenda.

Tom de Lo zoo di vetro esce ogni sera per andare al cinema e torna a casa ubriaco, senza fornire dettagli sulla serata trascorsa. L’opera è quasi autobiografica: il personaggio condivide con il suo creatore il nome di battesimo (Williams cambiò il suo solo nel 1938) e una sorella con gravi problemi di salute. Ma soprattutto, un padre assente che lo disprezza per la poca virilità e una madre logorata dalla vita, davanti alla quale è più facile inventare scuse che aprirsi.

È curioso notare come William Inge trattasse apertamente l’omosessualità nei suoi lavori e la negasse nella vita quotidiana, l’esatto contrario di Tennessee Williams, noto dongiovanni, che però teneva ben separate vita amorosa e produzione letteraria. La domanda di questa settimana per i partecipanti del Premio Carlo Annoni è dunque: quanto deve essere forte il legame tra la vita di chi scrive e il suo testo?