Intervista al vincitore-Sergio Casesi

Il premio in lingua italiana dell’edizione 2018 del Premio Carlo Annoni è stato vinto da Sergio Casesi, autore teatrale e musicista milanese pluripremiato, con il suo testo Zeus in Texas.

Trombettista premiato a livello internazionale, dal 1999 Sergio Casesi ricopre il ruolo di Prima Tromba presso l’Orchestra Regionale Lombarda, I Pomeriggi Musicali di Milano.

Tra i numerosi premi vinti dall’autore figurano nel 2012 il primo premio nella competizione romana “Anime Nude” presso il Teatro dell’Orologio, con la messa in scena dell’atto unico Traditori, il “Premio per la nuova drammaturgia” del Teatro la Pergola di Firenze nel 2015, nel 2017 l’importante Premio Cendic con #AnAmericanDream.

Ha lavorato come tutor di drammaturgia per la Biennale di Venezia, per tre anni, nell’ambito di Biennale College.

Secondo te che cosa non comprende ancora oggi il pubblico riguardo alla diversità e quindi perché è così importante dedicare un premio drammaturgico a questo tema? 

Il tema della diversità è un tema centrale del nostro tempo. Diversità declinata in diversi modi e per diversi mondi che riguarda però sempre il rapporto fra individuo e società, fra individuo e masse. La cura della diversità nell’amore ed in generale nella sfera privata, la sessualità ma anche la politica, o la sfera ideale, spirituale e creativa, è forse la più urgente perché determinante per la vita quotidiana di milioni di persone. Vediamo spesso, in occidente, la legislazione inseguire la società e in paesi come Ungheria, Polonia o Russia un ritorno al dogma dell’odio e della violenza. Nel mondo ci sono poteri che giocano con la vita delle persone ed è compito di tutti i liberi, scrittori e artisti compresi, raccontare, denunciare e battersi per il diritto di vivere non omologati, non costretti, non schiacciati. La battaglia per i diritti civili è quindi una delle battaglie per la libertà dell’uomo e, al contrario di più antiche battaglie vinte ma poi perse per strada, speriamo possa contribuire al progresso dell’intera umanità in maniera duratura e certa. 

Per tutto questo è necessario il Premio Annoni come necessari sono i pensieri e le parole di tutti coloro che si battono e si sono battuti. Grazie al Premio Annoni, ormai appuntamento internazionale imprescindibile, sempre più persone vengono a contatto con i temi della diversità e sono costrette a fare i conti con se stesse, con le proprie abitudini, con le proprie paure, con le proprie verità. Giovani e famiglie, pubblico e artisti, opinione e politica. Credo fortemente nella creatività come elemento fondamentale per l’affermazione del diritto. 

Ci puoi raccontare un piccolo aneddoto riguardo alla tua vittoria? 

Un aneddoto… Ho scoperto che Carlo Annoni era originario di Agliate, un piccolo borgo in Brianza appoggiato sul Lambro. Paesino a cui sono legato perché la famiglia della mia compagna vive ancora lì e, coincidenze, vicino alla casa degli Annoni. Così, per caso, c’era una traccia nel mio vissuto con quello di Carlo, con al centro la meravigliosa chiesa romanica di Agliate. Con l’organizzazione del Premio ho organizzato quindi un concerto per Carlo Annoni proprio nella Basilica, con amici musicisti tutti legati in qualche modo a quel luogo straordinario. E’ stato un bel momento, ricco e raro. 

Che cosa ha significato per te la vittoria del premio Carlo Annoni? 

Il Premio Annoni per me ha significato moltissimo. Ho ricevuto la stima di grandi professionisti, di grandi artisti. Questo è importante quando si dà il massimo, quando si cerca di scrivere e di vivere allo stesso modo. 

Quali consigli potresti dare ai drammaturghi rispetto alla creazione di un testo? 

Ho avuto la fortuna di lavorare come tutor di drammaturgia alla biennale di Venezia per tre anni. E ho conosciuto tanti giovani di molte parti del mondo. Da molti ho imparato tanto. Ma vedo due mali molto diffusi nell’approccio alla scrittura che io, almeno spero, credo di aver sempre rifiutato. In primo luogo la paura del conflitto. Drammaturgia è conflitto. Non bisogna sottrarsi, anzi. E’ necessario indagarlo sempre e fondo, senza arrendersi alla paura. Capire quel conflitto immaginato cosa significa per noi e perché. In secondo luogo, ma forse è ancora peggio, ho notato la tendenza di molti a rifarsi a modelli preesistenti, anche fondamentali. Ma occorre chiarire. Mai scrivere alla Tizio o alla Caio. Mai e poi mai voler scrivere il testo di qualcun altro. Se avremo fortuna saremo originali altrimenti i modelli interiorizzati si vedranno comunque in filigrana. Ma io vedo spesso un appiattimento davvero scabroso. umiliante direi. Per scrivere bisogna usare il proprio sangue, il proprio sorriso e il proprio dolore. Le proprie esperienze e i propri sogni. Bisogna vincere la paura di vivere. Occorre mettersi in gioco sapendo di poter fallire. Parlando con sceneggiatori o autori, ma anche compositori di musica, mi trovo a dover discutere di scelte basate su altre opere, su altri scritti, su idee di altri. No, questo è sbagliato. Anche eticamente. E’ volgare e sterile. Potremo fallire, sbagliare, non riuscire. Ma saremo noi. E forse, con fiducia e forza, potremo invece scrivere qualcosa di valore, a patto di usare ciò che siamo e ciò che abbiamo nelle vene. E non suggestioni altre e infatuazioni letterarie. 

Cosa ti aspetti dal futuro, dopo la situazione mondiale che stiamo vivendo?

Non so cosa aspettarmi dal futuro. Mi sembra che del teatro, come della musica e del sapere artistico in generale, importi poco. Siamo in un periodo della società della tecnica in cui l’economia è l’orizzonte morale a cui ogni uomo deve tendere. Sembra che il teatro, che da millenni è il luogo della riflessione laica e civile, non abbia più un autentico ruolo. E se è vero che il narcisismo di molti autori e artisti è colpevole, in questa fase non mi sento di dare la colpa a noi lavoratori dello spettacolo. Alla società, e in particolar modo alla politica e ai media, anche per problemi sempre più grandi in un contesto appunto solo economicistico, sembra non interessare il futuro della cultura e nemmeno il futuro degli attori, degli scenografi, dei registi e delle maestranze e dei musicisti. Mi sento esiliato dal perimetro di ciò che è importante, di ciò che è vitale. Mentre ho sempre scritto, e suonato il mio strumento in orchestra, credendo di fare qualcosa di importante per tutti, di indispensabile. Non so se sbaglio ora o sbagliavo prima. Ma non so cosa accadrà in futuro. Non ho elementi per capire se siamo in una fase che si risolverà o se il destino degli artisti è segnato, almeno per molti anni. Il teatro non è intrattenimento, che pure è importante e manca ed è lavoro per moltissimi professionisti. Ma il teatro è manifestazione della coscienza collettiva, è momento condiviso e libero. E non voglio immaginare una società in cui la tecnica può disporre della vita di tutti senza un luogo in cui questa stessa vita può essere messa in scena per cercarne il senso, se mai ve ne fosse uno, e comunque il suo continuo ricomporsi nel tempo.  

Intervista al vincitore-Mark Erson

Mark Erson ha vinto la prima edizione del Premio Carlo Annoni come autore del miglior testo in inglese, Marc in Venice, nel 2018. Qui di seguito una sua intervista.

Secondo te che cosa non comprende ancora oggi il pubblico riguardo alla diversità, e quindi perché è così importante dedicare un premio drammaturgico a questo tema?

Nonostante ci siano diversi concorsi drammaturgici a cui partecipare, non sempre si sa come verranno recepiti copioni/storie sul tema dell’omosessualità. Ci sono molti teatri negli Stati Uniti che devono preoccuparsi di come i loro finanziatori considererebbero storie del genere. Un’altra sfida del fare teatro in un sistema iper-capitalistico. Concorsi come questo danno voce a chi solitamente non ha un posto nel teatro e non vi viene celebrato. Ciò assicura lo sviluppo di nuove storie e nuove voci.

L’anno successivo alla mia vittoria, ho scritto un copione su Leonardo da Vinci che non avrei mai scritto se non fossi stato incoraggiato dagli organizzatori del Premio. Facendolo, ho potuto conoscere la figura di Leonardo da Vinci e quale esempio rappresenti per la comunità LGBTQ. Recentemente, alcune pubblicità televisive statunitensi lo hanno rappresentato in modo poco veritiero. Un Premio come questo può inoltre aiutare la nostra comunità a reclamare e raccontare una storia che altrimenti viene nascosta e addirittura distorta.

Ci puoi raccontare un piccolo aneddoto riguardo alla tua vittoria?

Ho potuto raggiungere Milano per ricevere il mio premio e partecipare alla premiazione. Un punto davvero alto della mia vita. Poiché avevo scritto una storia che elevava la trama di un coming out al vivere in armonia e all’equivalente di un racconto spirituale, e poiché sono un pastore apertamente omosessuale in una parrocchia aperta alle persone LGBTQ, si è parlato più di me come pastore che di me come drammaturgo. Ma non è importante. Il mio dramma, Marc in Venice, è nato sicuramente dal mio personale viaggio spirituale e dal venire a patti con la mia propria identità.

Che cosa ha significato per te la vittoria del Premio Carlo Annoni?

È stata una incredibile conferma e validazione. Ho scritto un buon numero di drammi. La maggior parte sono stati auto-prodotti. Vincere mi ha mostrato come altri dessero valore a ciò che scrivevo. Da quando ho vinto sono stato più prolifico e sto scrivendo con un senso di confidenza maggiore.

Quali consigli potresti dare ai drammaturghi rispetto alla creazione di un testo?

Osserva la tua stessa vita per delle idee. Non dico di scrivere copioni autobiografici, ma di intravedere temi e passioni che hanno alimentato il tuo viaggio. Scrivi quello che conosci nel profondo. E gioca al “Cosa succederebbe se”. Prendi un evento o una idea di trama e inizia a chiederti: cosa succederebbe se accadesse questo o quest’altro.

Cosa ti aspetti dal futuro, dopo la situazione mondiale che stiamo vivendo?

Voglio credere che, come il rinascimento che avvenne dopo l’epidemia del quattordicesimo secolo, usciremo da tutto questo con nuova comprensione di ciò che è importante, di ciò che ci nutre, di cosa è essenziale per il nostro benessere. Il regalo del 2020 possa essere un rifocalizzarsi (gioco di parole) e speriamo di uscirne con una migliore comprensione di ciò che ha valore. Ovviamente, secondo me, le arti sono il cuore di questa rinascita.